Recensione: livello 7


Livello 7 (QUI su Wikipedia) è un romanzo scritto da Mordecai Roshwald durante gli anni della guerra fredda, influenza che si fa sentire lungo tutto il romanzo, il quale trasuda letteralmente paura del nucleare dalle sue pagine.





TRAMA (ATTENZIONE, PESANTI SPOILER): La storia, ambientata alle porte di un’imminente guerra nucleare, narra dell’addetto premi-pulsanti X-127 il quale, tratto in inganno attraverso una promozione e la promessa di una licenza, viene fatto scendere assieme ad altre 499 persone in un rifugio sotterraneo situato a circa 1'700 metri di profondità, il Livello 7. Una volta entrati all’interno del rifugio, vengono tagliati tutti i collegamenti con l’esterno, ad ognuno viene assegnato un compito ed una sigla che ne sostituirà il nome (nel corso del romanzo non verranno mai svelati i nomi propri dei personaggi, chiamati solo attraverso una sigla che ne rivela il ruolo, così che non potremo mai sapere a quali delle due fazioni appartengono rispettivamente i protagonisti e gli avversari): il livello 7 è l’ultimo di una serie di rifugi, di cui 5 prettamente civili e due militari: il Livello 6, che avrà il compito di intercettare i missili del nemico, e il Livello 7, che avrà lo scopo di lanciare i missili che lo colpiranno. Se all’inizio tutti hanno delle difficoltà di adattamento alla vita che si conduce nel piccolo rifugio, ben presto iniziano ad adattarsi e a cominciare a trovare normali cose come poter incontrare gli altri solo mezz’ora al giorno nella sala comune, mangiare cibi liofilizzati insipidi, essere comandati da una voce che non si saprà mai a chi appartiene. Piano piano si arriverà così all’idea che il Livello 7 è il migliore dei mondi possibili. Tutto procede tranquillo, fino all’arrivo del giorno fatidico: l’attacco nemico induce a una pronta reazione, e rappresaglie sempre più feroci portano alla completa distruzione del mondo. Gran parte dei civili sono morti, compresi quelli che avevano accesso ai primi livelli dei rifugi, e non c’è possibilità di uscire all’aria aperta senza essere mortalmente contaminati dalle radiazioni. Gli abitanti del Livello 7 si sentono, finalmente, davvero fortunati ad essere stati prescelti, e a trovarsi nel luogo più sicuro del pianeta.
Ma a quanto pare i rifugi non sono poi così sicuri come sembra, e pian piano i loro abitanti iniziano a morire come mosche. Partendo dai livelli più superficiali, la morte sembra scendere sempre più in profondità, fino a che gli abitanti del Livello 7 rimangono i soli esseri umani del pianeta. Ma la morte non scorda nessuno.

OPINIONE PERSONALE: Sinceramente, non so se consiglieri questo romanzo o meno. Parlando a livello puramente stilistico, l’ho trovato scritto davvero maluccio, e penso che un po’ di cura in più lo avrebbe sicuramente migliorato notevolmente. D’altra parte è scritto sotto forma di diario, con esattezza il diario di X-127, che non è certo un letterato, quindi rimane il dubbio che la sciatteria possa essere una cosa voluta. Per questo ambito potrò giudicare meglio quando avrò letto “Apocalisse tascabile”, il solo altro suo romanzo fantascientifico ad essere stato pubblicato, ma ciò non toglie che voluta o no, la trascuratezza nella narrazione mi ha infastidita in più di un punto. Dunque, per chi sia in cerca di una lettura ben scritta e perfettamente curata, devo a malincuore dire di lasciar perdere.
Dico a malincuore perché, lasciando da parte gli aspetti stilistici, la trama è appassionante e il libro scorre via velocemente in un pomeriggio o poco più. La vicenda mi ha presa tanto da non riuscire a staccarmene, nonostante la fine sia inevitabile e palpabile nell’aria avevo sempre bisogno di leggere un’altra riga, un’altra pagina, per sapere come se la sarebbero cavata gli abitanti del Livello 7, per sapere cosa sarebbe accaduto dopo. Le lunghe descrizioni della vita nel rifugio e del suo funzionamento, così come quelle riguardanti gli altri livelli, sono affascinanti e ben contestualizzate, tanto da risultare credibili all’interno della storia, contrariamente a molti altri romanzi in cui è palese la volontà di informare il lettore dello stato dei fatti.
È un libro indubbiamente angosciante, tanto che una volta terminato non sono riuscita a riprendere la lettura di “On the beach” di Shute, che tratta più o meno degli stessi argomenti, ed ho dovuto dedicarmi a qualcosa di più leggero.
Il bisogno impellente del protagonista di sentire ancora su si sé la luce e il calore del sole ti penetra dentro, il senso di claustrofobia è fortissimo, l’angoscia per la consapevolezza di una morte imminente e inevitabile fa male al cuore. Davvero.
Insomma, se potete passar sopra a uno stile tutto fuorché impeccabile, a tratti piatto, ma funzionale a una storia in cui l’autore ha davvero qualcosa da dire, penso che valga la pena dargli un’occhiata.

(originariamente postato su Splinder il giorno 25 settembre 2011)

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